Come si fa l’editing di un testo
Spiegare come si fa l’editing di un testo non è una cosa facile, né tanto meno una questione che si può risolvere con una paginetta. Perciò queste poche righe ambiscono solo a offrire qualche spunto di riflessione, niente di più e niente di meno.
Anche perché la competenza necessaria per svolgere quest’attività deriva sia da fattori strettamente personali (le proprie letture, i propri interessi), sia dall’esperienza sul campo: provare, riprovare, sbagliare, provare ancora.
Innanzitutto è necessario inquadrare il testo che si ha davanti: va da sé che una cosa è doversi occupare di un romanzo o di un racconto, un’altra doversi occupare di un saggio o di un articolo.
Occorreranno, in ciascun caso, metodi e obiettivi diversi; probabilmente, però, alcuni elementi sono in comune:
1) la necessità di distinguere due fasi del lavoro: una prima dedicata all’inquadramento e alla valutazione dell’insieme (che può godere di un buon punto di partenza se si dispone di una scheda di valutazione); una seconda dedicata alla vera e propria “rielaborazione”;
2) l’importanza di capire il più possibile l’autore (senza scomodare [troppo] Freud) con il quale ci si troverà a discutere/lavorare, sia per impostare il tipo di rapporto da instaurare, sia per misurare la sua disponibilità, sia, infine, per condividere con lui le finalità e il risultato ultimo, nel quale egli dovrà riconoscersi. È, infatti, all’autore che l’editor adegua il suo operato e anche il suo approccio.
Fatte queste stime preliminari, ciascun editor adotta il metodo che sente ideale per sé e per il contesto in cui si trova (testo-autore). Tuttavia, al di là del modo in cui imposta l’attività, procede “a strati”.
In prima battuta, passa al vaglio i contenuti e la correttezza spazio-temporale e semantica dello scritto.
Per esempio: il protagonista A, che è biondo a pagina 5, diventa bruno (senza passare dal parrucchiere, si intende…) a pagina 123? Non è che il personaggio B di quella bella storia anni Cinquanta lo si ritrova a farsi un selfie? La ragazza C, incinta al quinto mese a giugno, compare col pancione davanti all’albero di Natale?
E ancora: sono proprio necessari tutti gli approfondimenti su come si svolge un conclave in quella biografia del papa? E tutti quei dialoghi con sconosciuti incontrati in farmacia in quel romanzo rosa? La data della guerra punica riportata è corretta?
Si tratta, quindi, di analizzare la struttura generale dell’opera, la sua coesione e la sua coerenza interna, affinché vi sia credibilità (il che vale anche quando si ha a che fare con storie inverosimili) e scientificità – cioè correttezza – dei dati che hanno una relazione con la realtà.
Quest’ultimo aspetto diventa portante nei saggi e nei testi di divulgazione per i quali ci si imbatte, di frequente, in informazioni, citazioni, note e riferimenti bibliografici, con la conseguente necessità di verificarne l’esattezza (e, anche, la rispondenza a precise norme editoriali).
Il naturale sbocco di questa primaria analisi che si muove tra il micro e il macro saranno operazioni di diverso tipo:
– correzione dei riferimenti spaziali e temporali, che porteranno a riconsiderare probabilmente alcuni passaggi;
– tagli, anche di una certa entità se necessario, per eliminare il superfluo (sovrabbondanza di dettagli, digressioni eccessive e smisuratamente minuziose, personaggi irrilevanti, episodi privi di seguito e peso narrativo);
– aggiunte di porzioni di testo nei punti in cui sembra che qualcosa sia rimasto imprigionato nella mente dell’autore senza trovare piena espressione e che, invece, risulta importante per la comprensibilità del tutto;
– riscrittura di quelle parti che non tengono in considerazione il destinatario finale, cioè il lettore, e sembrano rispondere più a logiche commerciali o a esigenze personali che a necessità narrative.
Setacciati i contenuti, si passa allo stile, questione questa molto delicata e difficile. L’editor, infatti, da una parte deve renderlo piacevole, omogeneo, valido e “con carattere”; dall’altro, nello svolgere quest’operazione, non può non tener conto di quello originario, dal quale non deve allontanarsi troppo.
Quindi, nel riconsiderare i periodi involuti, le espressioni poco curate, le scelte sintattiche e lessicali, il registro e il tono generale, deve “ragionare” con la testa dell’autore, non con la propria. Rischierebbe, altrimenti, di ottenere un effetto stereotipato, privo di validità e riconoscibilità; oppure di imporre le proprie preferenze narrative e caratteristiche personali a un testo che non è suo.
Arrivati a questo punto, va affrontata la difficoltà probabilmente maggiore: la consegna all’autore e, soprattutto, la sua reazione. Questa dipenderà non solo dalla bontà o meno del lavoro svolto. Sarà, infatti, anche la conseguenza del rapporto che si è stabilito con lui.
Se prima di avviare la revisione l’editor ha affrontato una profonda chiacchierata con l’autore per mettere a punto alcune questioni preliminari (almeno nella misura in cui è possibile in forma teorica) e/o se l’editor, in corso d’opera, ha aggiornato via via l’autore con dei feedback intermedi per rassicurarlo, quest’ultimo sarà sicuramente più preparato al “suo nuovo” testo e vi si predisporrà meglio.
Soprattutto, l’autore si rilasserà maggiormente con la consapevolezza – che quindi gli va trasmessa – che ogni intervento è discutibile e reversibile, che deve prendersi il tempo necessario per pensarci e capire se e in quale misura si riconosce nella (sua) bozza, che ha il diritto – e anche il dovere – di contestare, proporre alternative e fare domande.
Così l’editing diventa un gioco di squadra, nel quale si condividono regole e obiettivi e in cui a risultare vincente deve essere… il testo!
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