Il criterio di uniformità

Parola d’ordine: uniformare

 

 

“Uniformare” è un imperativo categorico per chiunque si occupi di revisione di testi di qualsiasi natura.
Ed è anche il concetto che sfugge ai più. Quando, infatti, si fa notare a un autore che, per esempio, nel suo testo c’è scritto contemporaneamente “Spa”, “SPA”, “S.p.a.”, la reazione più comune è: “Chi vuoi che se ne accorga?”. Probabilmente nessuno.
Probabilmente, però.

Conferire omogeneità e ordine, costruire analogie e differenze significa, in realtà, facilitare l’esperienza di lettura. Significa anche attribuire al testo una particolare cura dei dettagli e palesare l’attenzione che gli è stata rivolta. Ciò non potrà che ottenere l’effetto di aumentarne la credibilità e la fruibilità.

Il concetto di uniformità risponde al principio per cui tutto ciò che compare nel testo due o più volte deve risultare formalmente omogeneo.
Quest’attributo è (meglio, dovrebbe) essere garantito dalle norme editoriali, cioè un insieme di regole che vanno applicate al testo.
Per esempio, come vanno scritte le sigle: tutto maiuscolo, con i puntini o in alto/basso? E le parole composte: con o senza il trattino? E i termini stranieri: in tondo o in corsivo? Le cariche e i ruoli: in maiuscolo o in minuscolo?

Tuttavia la questione non è così semplice, per diversi motivi:

1) è impossibile racchiudere in un normario tutte le eventualità nelle quali ci si può imbattere: la casistica può essere amplissima, anche perché dipendente dall’argomento del testo e dallo stile dell’autore;
2) non sempre si ha a disposizione un normario: non tutti gli editori ne hanno uno proprio e non tutti i testi hanno un editore.

In assenza, quindi, di regole “esterne”, si fa affidamento al criterio di maggioranza unito a una buona dose di buon senso ed equilibrio.
Meglio illustrare la cosa con un esempio.

Supponiamo di imbatterci in un manuale di botanica. Incontriamo un primo termine inglese, elemento che con molta probabilità avrà bisogno di uniformazione. Controlliamo, allora, se lo stesso termine ricorre ancora e controlliamo anche se ci sono altri termini in inglese e come sono stati scritti: in corsivo o in tondo? Ci rendiamo conto che sono scritti per lo più in corsivo. Possiamo quindi ricavare la regola per cui i termini inglesi andranno scritti in corsivo: è il criterio di maggioranza.

Poi, però, ci accorgiamo che i nomi delle diverse specie di piante sono altrettanto scritte in corsivo. Trattandosi di un manuale di botanica, verosimilmente il testo sarà pieno di quei nomi. Rischiamo allora di avere una sequela infinita di corsivi?
Probabilmente in questo caso sarà opportuno pensare a una differenziazione, evitando per esempio il corsivo per i termini stranieri: è il buon senso.

Questi principi investono qualsiasi elemento che caratterizza un testo: le sigle, le virgolette nei dialoghi, i riferimenti bibliografici e le note, i nomi, i sintagmi, i numeri, i corsivi e i tondi, le maiuscole e le minuscole…
E valgono anche per gli elementi che compongono il paratesto, che devono rispettare tutti la medesima logica in termini di grandezze, stili e layout: capitoli, paragrafi e sottoparagrafi, didascalie, elenchi puntati, richiami, riquadri, tabelle, e chi più ne ha…