Una vita da lettore, Nick Hornby (Guanda)

Una vita da lettore, Nick Hornby (Guanda)

Una vita da lettore


Una vita da lettore
 di Nick Hornby, edito da Guanda nel 2006, offre il punto di vista di uno scrittore sulla lettura: libri scelti, libri mai aperti, libri che prima o poi saranno letti.
Antipatie e simpatie a cui non è immune alcun lettore. Nemmeno quello che dovrebbe avere un filtro più strutturato, come chi scrive.

In modo leggero, questo libro sembra voler offrire una bussola per orientarsi nel groviglio delle possibilità di lettura, con un’unica raccomandazione: fuggire sempre la noia.

 

Editing e correzione di bozze: che differenza?

Editing e correzione di bozze: che differenza?

Editing e correzione di bozze rappresentano spesso, nell’immaginario comune, una coppia di fatto. Il rischio è che ciascun membro perda la propria individualità.
Molte volte è successo che gli autori che hanno contattato edillia non fossero consapevoli della differenza tra le due attività e, così, finivano per chiedere informazioni sull’una ottenendo risposte sull’altra.

Un po’ di chiarezza, quindi, non guasta.

L’editing consiste nella cura redazionale di un testo in vista della sua pubblicazione.
Si tratta di una lettura attenta, critica e profonda volta a migliorarlo, a “tirarlo fuori” dal suo stato grezzo.

Significa che – oltre a verificare la correttezza di ortografia, grammatica, sintassi – l’editing ambisce a rimuovere i difetti del testo dal punto di vista dell’organizzazione strutturale, dell’architettura generale, della coerenza interna e dell’adeguatezza dello stile; analizza l’esattezza dei contenuti e la corrispondenza con la realtà delle affermazioni (scientifiche, storiche, ecc.) che lo scritto riferisce.
L’editor, quindi, scompone e ricompone, taglia, sposta, aggiunge, scrive e (se necessario) riscrive, secondo precise logiche e metodi.

La correzione di bozze è una lettura che mira a limare e raffinare il manoscritto, ripulendolo da errori di battitura e imprecisioni formali.
A rigore dovrebbe essere un passaggio successivo all’editing, poiché in quella fase sul testo dovrebbero (!) ormai esserci per lo più solo piccole sbavature che, quindi, il redattore provvederà a emendare.
Quest’attività, inoltre, dovrebbe riguardare il testo già impaginato, vale a dire la bozza, appunto, sulla quale operare più letture (“giri di bozza”).
Sulla bozza il redattore mette in atto non solo gli interventi macroscopici di “sgrassatura” del testo, ma anche quelli volti a rendere le pagine di facile e gradevole lettura dal punto di vista “visivo”, eliminando (o almeno riducendo) le brutture grafiche. Valuta, quindi, la sua resa tipografica e verifica tutti quegli elementi che appartengono alla “composizione” vera e propria del testo (la corretta progressione delle note, l’organizzazione dei titoli e dei paragrafi, i margini, la corrispondenza tra immagini e didascalie, ecc.) e alla sua “formattazione” (corsivi, font, ecc.).

editing e correzione di bozze

Si tratta, perciò, di due attività con scopi diversi. Tuttavia i loro confini non sempre sono nettamente demarcabili e nella realtà i due piani possono confondersi, fino anche a sovrapporsi.

«Editare è divino»

«Editare è divino»

editare è divino

Una regola pratica  […] è: “L’editor ha sempre ragione”.
Il corollario è che nessuno scrittore accetterà in toto i consigli del suo editor: poiché tutti hanno peccato e hanno mancato la perfezione.
Per dirla in altri termini, scrivere è umano, editare è divino.

*** Stephen King ***

“On writing. Autobiografia di un mestiere”, Sperling & Kupfer

edillia: il progetto e il nome

edillia: il progetto e il nome

Qualche tempo fa si è parlato del modo in cui è nato questo blog e del suo stretto collegamento con edillia, l’agenzia di servizi editoriali e redazionali a cui questo spazio è legato e la cui genesi è stata un processo.

edillia non è stata un’idea fulminante, non è stata un’illuminazione divina, né un’epifania. È stata un processo.
Un work in progress che si è sviluppato in modo latente prima di trovare il coraggio di mettersi a nudo.

Bloc-notes, appunti, navigazioni improbabili e incaute sul web sono state il primo timido tentativo di trovare una strada percorribile per fare qualcosa in cui potercela davvero mettere tutta.

Poi per un lungo tempo quell’assillo si è assopito. Una specie di letargo, seguito da un lungo sbadiglio, una boccata di ossigeno e un sondaggio sapientemente condotto tra pochi, ma buoni.
Gli appunti sono riemersi assumendo una forma più intellegibile; le navigazioni sul web sono ricominciate mantenendosi improbabili e incaute.
Ma utili.

Utili a capire che il punto di partenza doveva essere quello di dare un’identità al progetto.
E siccome l’identità è una cosa seria che non si può affidare alla fortuna e alla sola fantasia galoppante, quegli appunti, finalmente condivisibili, andavano messi nelle mani di una persona – un professionista, prima di tutto, e un amico, tra l’altro – che ha giurato solennemente di poter dare un nome e un volto a quel germe di idea. E che, anzi, quel nome e quel volto erano già nascosti nel mucchietto di carta che avrebbe, con cura, analizzato.
Non si sarebbe trattato di una magia, certo, ma di un percorso in cui sarebbe stato tirato fuori un coniglio dal cilindro.

Tanto per cominciare, andando a sviscerare le motivazioni alla base del progetto e il modo in cui dovevano essere filtrate per essere comprese (nel senso di “prendere insieme”) dagli altri.
Bisognava chiedersi: cosa c’è offrire e come farlo.

Il cosa era già di per sé piuttosto chiaro, andava solo (solo!?) condiviso; ed è stata anche la condivisione a far emergere che si trattava di un cosa che in fondo potevano offrire (e offrono, in effetti) in molti altri. Bisognava essere realisti.
L’unica possibilità di differenziazione era, perciò, il come. E, come spesso accade, l’unicità di un progetto, di un’idea, di una qualsiasi iniziativa, sta nelle persone che la attuano.
Personalizzare, quindi, doveva essere la parole d’ordine.

Così il campo delle ricerche e dei voli pindarici di cui solo i creativi, come il professionista scelto, sono capaci, si è ristretto concentrandosi sul nome di battesimo di chi gli aveva fornito quel mucchietto di carte a appunti: Cecilia.
E da quel nome si è passati a quello dei servizi da offrire, da cui ha preso in prestito la radice.
Ha shakerato il tutto e…

“edillia”, ha detto.

Forse senza volerlo o senza rendersene conto, non aveva solo “reso omaggio” a un nome, ma anche richiamato un po’ l’idillio; un buon auspicio, quindi, per evocare uno stato di tranquillità, di rapporti sereni e trasparenti come quelli che edillia ambiva a stringere con chi avrebbe, di lì in poi, avuto fiducia in lei, ma anche un “ricordo” di quei componimenti poetici – di brevi dimensioni e con caratteristiche, diciamo, personali e soggettive – della cultura greca; e, infine, un tacito cenno all’idea, bozzetto, figura (eidos), ed edillia avrebbe in effetti avuto a che fare con idee in itinere.
Sembrava che il cerchio si chiudesse.

E a quel punto non restava che lavorare sulla “faccia” che quel nome avrebbe avuto (questa “faccia”, tecnicamente, si chiama “brand image”, dicevano dalla regia).

Ora, il naming è stato un gioco divertente. Un gioco che è stato tale solo dal punto di vista di chi lo ha subito, perché, invece, per chi lo ha messo in atto si è trattato di un lavoro molto serio che, attraverso un’analisi attenta e per nulla facile, ha portato a galla diversi ragionamenti e numerose altre ipotesi prima di concretizzarsi in quella considerata come la più “giusta”.

Tutto il resto – la realizzazione del logo, la scelta dei colori e del font, il pay off, e chi più ne ha più ne metta –  è sfociato in questa combinazione di lettere e colori valutati uno per uno in ogni dettaglio e con entusiasmo patologico.

edillia

Le due l vogliono somigliare a due libri un po’ inclinati in una libreria a tratti scomposta – perché la creatività non è una scienza esatta e perché le librerie ordinate sono noiose – e l’arancio è il colore più vicino all’idea di energia. Un colore che, peraltro, accomuna edillia alle cromie di chi le ha scattato questa “fotografia”: il graphic & web designer Luca Pagliara, fondatore di The Brand Identity (e anche project manager di Half and Half Project e cofondatore di MaPa).

IMG_7530
Amante di tutto ciò che è rétro e instagram addicted (in suo onore la foto rigorosamente 1:1 qui a lato!), Luca di sé dice: «Sperimento, leggo, approfondisco, ascolto, osservo».
Leggendo queste righe, adesso, avrà sicuramente pensato: “Speriamo almeno che quel cilindro fosse vintage”!

Correggimi se sbaglio. I retroscena tra autore ed editor (Edizioni Santa Caterina)

Correggimi se sbaglio. I retroscena tra autore ed editor (Edizioni Santa Caterina)

Correggimi se sbaglio

Storie di editing, e quindi storie di quella relazione che unisce l’autore all’editor.

Correggimi se sbaglio. I retroscena tra autore ed editor – scritto dagli studenti del Master in Professioni e Prodotti dell’Editoria dell’Università degli studi di Pavia e pubblicato da Edizioni Santa Caterina nel 2015 – è una sbirciatina nelle quinte della riscrittura: da Giordano a Dahl, da Kerouac alla Ginzburg.

A dimostrare che un libro non è soltanto un “prodotto” dell’intelletto, ma anche il frutto di un percorso umano.

I binari della vita. Quando l’imprevisto diventa occasione

I binari della vita. Quando l’imprevisto diventa occasione

Ebook: «un rapporto con le parole più essenziale e diretto»?

Ebook: «un rapporto con le parole più essenziale e diretto»?

ebook

L’ebook […] sembrerebbe avvicinarci all’essenza dell’esperienza letteraria più del libro cartaceo. Senza dubbio offre un rapporto con le parole […] più essenziale e diretto rispetto al libro tradizionale, privandoci della gratificazione feticistica di tappezzare di nomi famosi le pareti di casa. È come se fossimo stati liberati dai fattori estranei capaci di distrarci dal testo e potessimo concentrarci sul piacere intrinseco delle parole. In questo senso il passaggio dal libro cartaceo all’ebook ricorda il momento in cui si passa dai libri illustrati dell’infanzia alla pagina in versione adulta, fatta di sole parole. È un mezzo per adulti.

*** Tim Parks ***

“Di che cosa parliamo quando parliamo di libri”, Utet

Promuovere la piccola editoria di qualità: Modus legendi

Promuovere la piccola editoria di qualità: Modus legendi
Promuovere la piccola editoria di qualità: Modus legendi

Su Facebook esiste un gruppo che si chiama Billy, il vizio di leggere (che con la trasmissione Rai condivide solo il nome) che si presenta come «luogo dei lettori consapevoli». Conta, a oggi, più di 10 mila iscritti che leggono assieme e si confrontano sulle proprie esperienze di lettura, avviando discussioni e dialoghi fatti di ascolto reciproco.
In fondo, la lettura è anche un po’ questo: ascolto dell’altro.

A partire, più o meno, da metà marzo, gli amministratori del gruppo (Angelo Di Liberto e Carlo Cacciatore) hanno avviato una bellissima iniziativa. Bellissima perché è concreta e mira a ottenere risultati tangibili: «Molte volte ci siamo interrogati su cosa si potesse fare per arginare un sistema di mercato editoriale al ribasso e un bel giorno abbiamo deciso che eravamo NOI la soluzione. Perché se i lettori cominciano a chiedere qualità, gli editori li ascolteranno».

Qual è, allora, la soluzione? Si chiama Modus legendi (dalla cui pagina Facebook è stato tratto il virgolettato) e consiste in questo: mediante un sondaggio, si sceglie un libro di un editore medio-piccolo e di autore non noto – selezionandolo tra una rosa di 5, tutti di alta qualità, che il gruppo propone – e si va ad acquistare il più votato in massa durante la stessa settimana.

L’obiettivo è quello di creare un “caso editoriale” – bastano 3 mila copie vendute per farlo e i numeri Billy li ha tutti! – che porti gli editori a riflettere sull’esigenza di qualità avvertita dai lettori forti, quelli su cui il mercato dovrebbe puntare, e sulla potenza del passaparola.

In soldoni funziona in questo modo.
Sulla pagina di Modus legendi sono state inserite le schede informative dei 5 libri selezionati per l’iniziativa. I lettori possono quindi prenderne visione – e approfondire anche in rete, se lo ritengono – per stabilire quale sentono più vicino a se stessi e, di conseguenza, votarlo, partecipando al sondaggio.
Non bisogna, dunque, scegliere il più bello: tutti e 5 lo sono e, inoltre, non sarebbe possibile stabilire, senza averlo letto, se un libro ci è piaciuto o meno. Non bisogna, infatti, conoscere i titoli della cinquina, anzi! Del resto, è esattamente quello che facciamo quando selezioniamo un libro aggirandoci per gli scaffali di una libreria.

Una volta stabilito quale, per sé, è il migliore, si vota: il sondaggio è aperto qui ed è possibile monitorare i risultati qui.
Si può votare fino al 31 marzo.

L’indagine di Modus legendi porterà a eleggere un solo vincitore della cinquina, che sarà reso noto nella pagina del gruppo.
Da quel momento, ci si potrà recare nella propria libreria di fiducia per ordinare il libro che, attenzione!, dovrà essere acquistato solo nella settimana tra il 18 e il 24 aprile (altrimenti l’iniziativa risulterebbe vanificata).
Perciò, è bene approfittare del tempo a disposizione per ordinare il titolo ma se dovesse arrivare prima del 18 aprile, bisogna rimandare l’acquisto concentrandolo in quella settimana, entro il 24.

La rosa dei 5 libri in gara selezionati dai moderatori di Modus legendi è la seguente (in ordine alfabetico per cognome dell’autore):

Modus legendi Bucciarelli_NnEditore


Elisabetta Bucciarelli, La resistenza del maschio, NN editore

 

 

 

 

Modus legendi Chevillard_DelVecchio


Éric Chevillard, Sul soffitto, Del Vecchio editore

 

 

 

 

Modus legendi DiFronzo_Nottetempo


Gabriele Di Fronzo, Il grande animale, Nottetempo

 

 

 

 

Modus legendi Ernaux_OrmaEditore


Annie Ernaux, Il posto, L’Orma editore

 

 

 

 

Modus legendi Funetta_Tunué


Luciano Funetta, Dalle rovine, Tunué

 

 

 

 

Al momento sono stati espressi 1.088 voti, c’è ancora qualche ora di tempo per partecipare e per non farsi sfuggire quest’occasione di far sentire la propria voce, di cominciare a vedere in classifica libri “diversi dal solito”, scelti “dal basso”, di dare il proprio contributo per invertire le tendenze, dettate spesso da ragioni meramente commerciali, e di farlo attraverso un’azione semplice, non dispendiosa e da prendere come un impegno personale e serio. Una «rivoluzione gentile», come l’ha definita Loredana Lipperini su la Repubblica del 13 marzo scorso.

Affrettiamoci!

Piccolo manuale dei grandi sbagli, Keri Smith (Corraini)

Piccolo manuale dei grandi sbagli, Keri Smith (Corraini)

Piccolo manuale dei grandi sbagli

 

Perdere il controllo. Essere imperfetti. Mettere in disordine.

Il Piccolo manuale dei grandi sbagli, pubblicato nel 2014 da Corraini, ha tutta l’aria del paese dei balocchi di Pinocchio.

L’autrice, Keri Smith, ci chiede di concederci un po’ di sano scompiglio e di mettere a nudo la nostra creatività nascosta, all’insegna della non convenzionalità.

Cogliere la meraviglia e il fiore… petaloso

Cogliere la meraviglia e il fiore… petaloso

Più o meno un mese fa, sui social e su diversi portali italiani ha fatto il giro una storia carinissima, quella dell’invenzione di un neologismo: Matteo, 8 anni, ha usato una parola “nuova” in un compito, ma prima di vedersela segnata in rosso ha interpellato, guidato dalla sua maestra e aiutato dall’intera classe, l’Accademia della Crusca che non lo ha “bocciato”.

Petaloso
Non è necessario ripercorrere l’intera vicenda perché è stata virale e tutti sicuramente la conoscono; peraltro è sufficiente digitare “petaloso” su un qualsiasi motore di ricerca per rinfrescare la memoria e per rendersi conto di quante persone si siano sentite coinvolte e in diritto di diffondere il nuovo… verbo.
Su Google, a oggi, la ricerca dell’hashtag “#petaloso” restituisce 157.000 risultati, mentre l’occorrenza in sé 330.000 (i dati si sono triplicati in un mese).
Sebbene “sboccino” a primavera iniziata, queste righe, come dire, non stanno sulla notizia, e in fondo non nascono nemmeno con questo scopo.

Nascono piuttosto dalla riflessione sul fatto che chi, per mestiere o per piacere o per necessità – quindi tutti –, ha a che fare con le parole e con la lingua deve considerare vivo il (bel) rischio di trovarsi a mettere in discussione le regole o di doverne assorbire di nuove.
Come ha fatto la maestra di Matteo non limitandosi a sfoderare la matita rossa su un termine ufficialmente inesistente, ma fornendo al fantasioso studente gli strumenti per disporre della spiegazione “scientifica” del suo errore o presunto tale. E probabilmente Matteo e i suoi compagni hanno così imparato di più e meglio. Ma non è la strategia didattica il punto.

Il punto è che il modo in cui diamo forma ai nostri pensieri è una responsabilità tutta nostra, individuale, ed è l’elemento che ci dona la libertà. Persino quella di sbagliare.

La vicenda di Matteo ha impazzato sul web per più ragioni:

  • perché il protagonista è un bambino – e i bambini, per natura, inventano neologismi ogni giorno – di cui gli adulti hanno saputo cogliere la meraviglia;
  • perché c’è stata l’eco di un ente prestigioso che ha fornito una risposta chiara e scientifica, ma a misura di un interlocutore di quell’età;
  • perché ha messo tutti di fronte a un fatto oggettivo che spesso viene dimenticato: e cioè che «la possibilità di sbagliare è […] il principale indicatore della vitalità di un idioma» (Andrea De Benedetti, La situazione è grammatica. Perché facciamo errori. Perché è normale farli, Einaudi, p. 4).
Petaloso_DaFbDellAccademiaCrusca_

Immagine tratta dalla pagina Facebook dell’Accademia della Crusca

La Crusca, infatti, non ha vagliato il termine “petaloso”, ma ha spiegato che esso risponde effettivamente alle regole che sono alla base della formazione delle parole a esso simili e che saranno i parlanti a stabilirne l’ingresso nei dizionari mediante l’uso.

I dizionari, quindi, sono – paradossalmente, poiché lo fanno al tempo stesso in cui codificano – la testimonianza che non siamo macchine perché parlando, semplicemente parlando (o scrivendo, o leggendo), diamo forma a una realtà che non è cristallizzata, bensì liquida, e proprio per questo vera.

Codificare non è certo un’azione imposta dall’alto da dei matusalemme che non ci lasciano via d’uscita, e questo è ciò che Matteo ha sperimentato su di sé e a beneficio di tutti coloro che hanno seguito la sua vicenda. Tuttavia è una strada per garantirci la possibilità di condivisione e di “movimento” lungo lo stesso orizzonte.

Ben venga, però, ogni guizzo della libertà linguistica che abbiamo, in ogni caso, il diritto di esercitare. Possibilmente senza farci sfuggire troppo di mano la situazione… anche perché, in quella vicenda, il confine tra lo scherzo e la polemica (sterile, per certi aspetti) è diventato via via molto sottile, perdendo i contorni della semplice “dolcezza” che la caratterizzava e il suo più profondo significato. Che non era incaricarsi della missione di iniziare a usare il termine “petaloso” da quel momento in avanti (a colpi di like e di hashtag?), ma di prendere coscienza – e con il sorriso che la candida innocenza richiede – della libertà e della potenza evolutiva entro cui si muovono le parole. Di “ricordare” che la lingua è una cosa seria.
E non seriosa.